Per l'Istituto Superiore di Sanità non esiste alcuna evidenza che gli animali domestici giochino un ruolo nella diffusione del Coronavirus
ISS 3 aprile 2020
di Umberto Agrimi direttore del Dipartimento sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria
Non esiste alcuna evidenza che gli animali domestici giochino un ruolo nella diffusione di SARS-CoV-2 che riconosce, invece, nel contagio interumano la via principale di trasmissione. Tuttavia, poiché la sorveglianza veterinaria e gli studi sperimentali suggeriscono che gli animali domestici siano, occasionalmente, suscettibili a SARS-CoV-2, è importante proteggere gli animali di pazienti affetti da COVID-19, limitando la loro esposizione.
Il virus SARS-CoV-2, lasciato il suo probabile serbatoio animale selvatico, si è diffuso rapidamente in tutti i continenti, trovando nella specie umana una popolazione recettiva e in grado di permettergli una efficiente trasmissione intraspecifica. L'elevata circolazione del virus tra gli esseri umani sembra però non risparmiare, in alcune occasioni, gli animali che condividono con l'uomo ambiente domestico, quotidianità e affetto. Al 2 aprile 2020, a fronte di 800 mila casi confermati nel mondo di COVID-19 nell’uomo, sono solamente 4 i casi documentati di positività da SARS-CoV-2 negli animali da compagnia: due cani e un gatto ad Hong Kong e un gatto in Belgio. In tutti i casi, all'origine dell'infezione negli animali vi sarebbe la malattia dei loro proprietari, tutti affetti da COVID-19.
Il dato, per quanto limitato a poche osservazioni, merita attenzione. A questi casi di infezione avvenuta naturalmente, si stanno infatti aggiungendo i risultati degli studi sperimentali effettuati in laboratorio su alcune specie domestiche. Questi confermerebbero la suscettibilità del gatto, del furetto e, in misura minore, del cane all’infezione da SARS-CoV-2.
Le evidenze disponibili suggeriscono che l’esposizione degli animali a SARS-CoV-2 possa dare luogo a infezioni asintomatiche/paucisintomatiche, ovvero manifestarsi con malattia vera e propria. Nei due cani e nel gatto osservati ad Hong Kong, l'infezione si è evoluta in forma asintomatica. Il gatto descritto in Belgio ha, invece, sviluppato una sintomatologia respiratoria e gastroenterica a distanza di una settimana dal rientro della proprietaria dall'Italia. L'animale ha mostrato anoressia, vomito, diarrea, difficoltà respiratorie e tosse ma è andato incontro a un miglioramento spontaneo a partire dal nono giorno dall'esordio della malattia. Il rapporto realizzato dal Comitato scientifico istituito presso l'Agenzia federale Belga per la Sicurezza alimentare segnala che nel vomito e nelle feci dell'animale era presente un'elevata carica virale. Questo rilievo unitamente ai sintomi clinici, fa ipotizzare che l'animale, dopo essere stato esposto al contagio da parte della sua proprietaria, sia andato incontro a una infezione virale produttiva, ovvero accompagnata da una attiva replicazione del virus. È opportuno sottolineare che, in tutti e 4 i casi descritti, gli accertamenti diagnostici sono stati condotti mediante tecniche molecolari e, al momento, non sono disponibili dati di isolamento virale, utili a definire con maggiore certezza lo stato di infezione. Tuttavia, in uno dei due cani di Hong Kong la positività degli accertamenti sierologici supporta l'ipotesi che il cane fosse infetto da SARS-CoV-2.
Essendo SARS-CoV-2 un virus nuovo, occorre intensificare gli sforzi per raccogliere ulteriori segnali dell’eventuale comparsa di malattia nei nostri animali da compagnia, evitando tuttavia di generare allarmi ingiustificati. Vivendo in ambienti a forte circolazione virale a causa della malattia dei loro proprietari, non è inatteso che anche gli animali possano, occasionalmente, contrarre l'infezione. Ma, nei casi osservati, gli animali sono stati incolpevoli “vittime”.
Non esiste infatti alcuna evidenza che cani o gatti giochino un ruolo nella diffusione epidemica di SARS-CoV-2 che riconosce, invece, nel contagio interumano la via di trasmissione. Tuttavia, la possibilità che gli animali domestici possano contrarre l'infezione pone domande in merito alla gestione sanitaria degli animali di proprietà di pazienti affetti da COVID-19. La raccomandazione generale è quella di adottare comportamenti utili a ridurre quanto più possibile l'esposizione degli animali al contagio, evitando, ad esempio, i contatti ravvicinati con il paziente, così come si richiede agli altri membri del nucleo familiare. Gli organismi internazionali che si sono occupati dell'argomento raccomandano di evitare effusioni e di mantenere le misure igieniche di base che andrebbero sempre tenute come il lavaggio delle mani prima e dopo essere stati a contatto con gli animali, con la lettiera o la scodella del cibo.
A margine di tutto ciò occorre sottolineare che gli animali domestici contribuiscono alla nostra gioia e al nostro benessere, soprattutto in periodi di stress come quelli che stiamo vivendo. In assenza di sintomi riferibili a COVID-19 e se non si è in isolamento domiciliare, passare del tempo con il proprio animale domestico e accompagnare il proprio cane nell'uscita quotidiana (nel rispetto della normativa) contribuisce a mantenere in salute noi stessi e i nostri amici animali.
Bisogna considerare che le conoscenze sul virus SARS-CoV-2 sono in rapida evoluzione e dunque quanto detto è da considerarsi ad interim. Tuttavia, l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ritiene utile promuovere lo scambio di conoscenze, man mano che queste sono rese disponibili, per il benessere e salute degli animali da compagnia e dei loro proprietari e dunque fornirà gli aggiornamenti necessari per rimanere in linea con l’evolversi della letteratura scientifica e delle posizioni ufficiali delle principali autorità nazionali e internazionali e per fornire informazioni dettagliate e indicazioni di comportamento.
Fonte:Istituto Superiore di Sanità
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