Cass. pen. sez. IV - Sent. 28/12/2017 n. 57671 - La condotta consistente nello scendere dal veicolo dopo l'urto, per sincerarsi delle condizioni della persona investita, non consente al conducente che si è poi allontanato di sottrarsi alla valutazione del
Cass. pen. sez. IV - Sent. 28 dicembre 2017 n. 57671
La condotta consistente nello scendere dal veicolo dopo l'urto, per sincerarsi delle condizioni della persona investita, non consente al conducente che si è poi allontanato di sottrarsi alla valutazione della penale responsabilità
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Presidente: Patrizia PICCIALLI
Rel. Consigliere: Maura NARDIN
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Roma con sentenza del 8 giugno 2017 ha confermato la sentenza del Tribunale di Vigevano con cui A. A. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 189, commi 6 e 7 C.d.S. e condannato alla pena (sospesa) di mesi 9 di reclusione, oltre alla comminatoria della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per anni 1 e mesi 6, per non aver ottemperato all'obbligo di fermarsi e prestare assistenza al minore da lui travolto, che a seguito del sinistro aveva riportato lesioni guaribili in. 5 giorni.
2. Avverso la sentenza propone ricorso il difensore dell'imputato, affidandolo ad un unico motivo, con cui lamenta il vizio di motivazione sotto distinti profili ed in particolare: per essersi la decisione limitata a motivare per relationem, richiamando le ragioni sottese alla sentenza di primo grado, senza rispondere alle doglianza fatte valere con i motivi di appello; per avere confuso i reati di omessa fermata ed omessa assistenza; per non avere vagliato se la condotta del A. A., sceso dall'auto e ripartito solo dopo avere constatato la situazione, integrasse effettivamente il reato di omessa assistenza, alla luce dell'orientamento della Suprema Corte di cui alla sentenza Sez. 4 n. 29706 del 11/07/2002. Rileva, inoltre, l'erroneità del ragionamento della Corte nella parte in cui sottolinea la contraddittorietà della tesi fatta valere dal A. A. con i motivi di appello - peraltro proposti dal difensore d'ufficio - con quella risultante dalle dichiarazioni rese dall'imputato nel giudizio di secondo grado. Ciò perché non solo il primo processo era stato celebrato in contumacia, tanto che il A. A. ne era venuto a conoscenza unicamente perché il difensore d'ufficio aveva provveduto a comunicare la nuova residenza, ma perché entrambe le versioni dimostravano l'assenza dell'elemento soggettivo. Sottolinea che il A. A. era conosciuto sia dalla madre del bambino, che dalla teste B. B. e dall'agente C. C., presenti al fatto, in quanto i suoi figli ed il minore coinvolto frequentavano la stessa scuola, il che dimostrava, da un lato, l'assenza di ogni intenzione di sottrarsi all'identificazione e dall'altro, la verosimiglianza della mancata percezione di quanto avvenuto.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. La doglianza è manifestamente infondata nella parte in cui lamenta che la sentenza di secondo grado sia meramente adesiva a quella di primo grado. La decisione, infatti, fonda la conferma su argomenti parzialmente diversi, rilevando, da un lato, l'incompatibilità fra la tesi fatta valere dal A. A. con i motivi di appello, e quella fornita dall'imputato con le dichiarazioni rese nel corso del giudizio di secondo grado e dall'altro, l'irrilevanza ai fini dell'esclusione della condotta punibile delle giustificazioni fornite nell'uno e nell'altro caso. La Corte territoriale, invero, osserva che tanto nell'ipotesi di sosta momentanea, che nell'ipotesi di fuga l'elemento soggettivo del reato sarebbe rappresentato dall'indifferenza circa le conseguenze dell'azione lesiva, dimostrativa anche della volontà di evitare l'identificazione.
3. Secondo quanto più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, ed in particolare di recente da un pronuncia di questa sezione (Cass Sez. 4, n. 42308 del 07/06/2017 - dep. 15/09/2017) che riassume i termini della questione, "il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell'assistenza occorrente, previsti rispettivamente al sesto e dal settimo comma dell'art. 189 C.d.S., hanno diversa oggettività giuridica, essendo la prima previsione finalizzata a garantire l'identificazione dei soggetti coinvolti nell'investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda è finalizzata a garantire che le persone ferite non rimangono prive della necessaria assistenza" (Sez. 4, Sentenza n. 6306 del 15/01/2008, Rv. 239038; Sez. 4, n. 23177 del 15/03/2016, Rv. 266969).
4. Ed invero, mentre nel reato di "fuga" previsto dall'art. 189 C.d.S., comma 6, è sufficiente che si verifichi un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l'esistenza di un effettivo danno alle persone, per il reato di omissione di assistenza, di cui al comma 7, dello stesso articolo, si richiede che sia effettivo il bisogno dell'investito. Effettività che si reputa insussistente nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario l'intervento dell'obbligato. Certamente, l'assenza di lesioni o morte o la presenza di un soccorso prestato da altri non possono essere conosciute "ex post" dall'investitore, dovendo questi essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima dell'allontanamento (Sez. 4, n. 5416 del 25/11/1999 - dep. 09/05/2000, Sitia e altri, Rv. 216465; Sez. 4, n. 4380 del 02/12/1994 - dep. 24/04/1995, Prestigiacomo, Rv. 201501).
5. Più recentemente però, in conformità ad una interpretazione rispettosa della effettività di tutela degli interessi salvaguardati dalla norma, si è precisato che l'assistenza alle persone ferite non è rappresentata dal solo soccorso sanitario bensì da ogni forma di aiuto di ordine morale e/o materiale richiesta dalle circostanze del caso. Ciò dunque comporta che chi rivendica ragioni di insussistenza del fatto illecito, dia compiuta dimostrazione della adeguatezza dell'assistenza, nell'ampio senso dianzi indicato (Sez. 4, Sentenza n. 14610 del 30/01/2014, Rossini, v. 259216).".
6. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che la condotta consistente nello scendere dall'auto dopo l'urto, per sincerarsi delle condizioni della persona investita, non possa sottrarsi alla valutazione della penale responsabilità e ciò neanche allorquando l'interessato constati di persona l'assenza di lesioni ed accerti la presenza di altre persone che prestano soccorso. Il conducente, secondo i giudici di appello, non essendo un medico, non avrebbe potuto, se non apoditticamente, valutare l'assenza di lesioni in capo al minore, con la conseguenza che il suo allontamento integra l'elemento soggettivo sia del reato di fuga che di quello di omissione di assistenza.".
7. D'altro canto la corretta valutazione dei principi appena richiamati da parte della Corte territoriale è ulteriormente suffragata dall'età della bambina coinvolta nell'incidente che imponeva al A. A. un obbligo di assistenza idoneo alle circostanze, non potendo certamente il medesimo accontentarsi di una superficiale considerazione delle condizioni della vittima.
8. Il ricorso va, dunque, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso il 24 novembre 2017.
Il Presidente: PICCIALLI
Il Consigliere estensore: NARDIN
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2017.
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