Cass. Pen. Sez. III - Sent. 16/06/2004 n. 26929 - Beni Ambientali. Interventi manutenzione straordinaria
Cass. Pen. Sez. III - Sent. 16/06/2004 n. 26929
Gli interventi di manutenzione straordinaria su immobili sottoposti a vincolo non richiedono il preventivo rilascio dell'autorizzazione da parte dell'autorità preposta alla tutela solo nel caso in cui non alterino lo stato dei luoghi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 05/05/2004
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo - Consigliere - N. 886
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 7872/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Rotella Giovanni, nato a Capri il 30 gennaio 1960;
avverso la sentenza emessa il 25 novembre 2003 dalla corte d'appello di Napoli;
udita nella Pubblica udienza del 5 maggio 2004 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo FRANCO;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per
l'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il giudice del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Capri, con sentenza del 17 luglio 2002 dichiarò Rotella Giovanni colpevole dei reati di cui agli artt. 163 del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e 734 cod. pen. per avere eseguito, senza la prescritta autorizzazione ed in zona soggetta a vincolo paesaggistico, lavori consistenti nel rifacimento di un muro di contenimento di un terrapieno, ricostruito con una maggiore altezza di circa un metro rispetto a quello preesistente, e lo condannò alla pena di giustizia, con l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, mentre lo assolse dagli altri reati contestatigli perché il fatto non sussiste. La corte d'appello di Napoli, con sentenza del 25 novembre 2003, dichiarò estinto per prescrizione il reato di cui all'art. 734 cod. pen., rideterminò la pena e confermò nel resto la sentenza di primo grado.
L'imputato propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) Violazione di legge e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in quanto il giudizio sull'idoneità del muro realizzato ad alterare lo stato dei luoghi è stato preso senza alcun elemento di raffronto a come il muro si presentava prima dell'intervento. La valutazione della Corte d'appello circa la eccessività del muro e la sua capacità di modificare lo stato dei luoghi è quindi priva di motivazione, potendo l'opera dirsi eccessiva solo se si individua con certezza la dimensione che questa aveva precedentemente. b) Lamenta che con l'atto di appello era stata chiesta la rinnovazione del dibattimento proprio per acquisire la prova relativa alla primigenia dimensione dell'opera e su tale richiesta la Corte d'appello non si è neppure pronunciata, sicché il suo rigetto manca di qualsiasi motivazione.
c) Violazione di legge in relazione all'art. 163 del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. Osserva che è indubbio che l'opera consiste nel ripristino di un precedente muro di contenimento con un modesto rialzo (le cui dimensioni peraltro non sono certe) senza introduzione di elementi di novità per tipologia o per funzione. Ora, il reato in questione può ritenersi integrato solo quando vi sia alterazione dello stato dei luoghi, e l'alterazione è ravvisabile solo quando l'intervento immuti in modo apprezzabile e rilevante, anche sotto il profilo temporale, le caratteristiche del luogo sottoposto a tutela ambientale. Nella specie manca quindi l'immutazione dello stato dei luoghi per l'insignificanza del presunto rialzo del muro, intervenuto tra l'altro, in una zona formata da vari terrazzamenti del terreno. d) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale perché la corte d'appello ha omesso di sentire in contraddittorio le parti sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento e non ha adottato nessun provvedimento in proposito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo e il terzo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati, oltre a risolversi in gran parte in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità - censurandosi in particolare la valutazione effettuata dai giudici del merito circa l'idoneità dell'opera realizzata ad immutare lo stato dei luoghi - sono comunque manifestamente infondati. Ed invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, la contravvenzione di cui all'art. 163 del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 costituisce un reato di pericolo, la cui offensività consiste nell'attitudine dell'opera, alla stregua di una valutazione ex ante, di porre in pericolo il bene protetto (Sez. 3^, 13 febbraio 2003, Abbate, m. 224.896). In altri termini, il reato di cui all'art. 163 cit. ha natura di reato di pericolo astratto e, pertanto, per la sua configurabilità non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendosi escludere dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici, atteso che il legislatore, imponendo la necessità dell'autorizzazione ha inteso assicurare un'immediata informazione e la preventiva valutazione da parte della P.A. dell'impatto sul paesaggio di interventi intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, in quanto la fattispecie incriminatrice è volta a tutelare sia l'ambiente sia, strumentalmente e mediatamente, l'interesse a che la P.A. proposta al controllo venga posta in condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione, così che la salvaguardia del bene ambiente viene anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale (Sez. 3^, 25 febbraio 2003, Greco, m. 224.725; Sez. 3^, 7 febbraio 2003, Carparelli, m. 224.469). Ora è indubbio che la costruzione di un muro di contenimento è di per sè astrattamente e potenzialmente idonea ad incidere sul paesaggio e quindi necessita della preventiva autorizzazione da parte dell'autorità competente alla tutela del vincolo.
Sembrerebbe peraltro che il ricorrente - pur senza fare espresso riferimento a questa ipotesi e senza richiamare la relativa norma - intenda sostenere che nella specie si verterebbe nella ipotesi prevista dall'art. 152 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il quale dispone, tra l'altro, che non è richiesta la autorizzazione per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. Orbene, anche se così fosse - si ripete che ne' nell'atto di appello ne' nel ricorso per Cassazione è fatto alcun riferimento al citato art. 152 o ad una espressa qualificazione dei lavori eseguiti come interventi di manutenzione straordinaria con conseguente applicazione della relativa disciplina - ugualmente i motivi in esame sarebbero manifestamente infondati. È pacifico, infatti, che gli interventi di manutenzione straordinaria in zone sottoposte a vincolo non richiedono il preventivo rilascio dell'autorizzazione da parte dell'autorità preposta alla tutela solo nel caso in cui non alterino lo stato dei luoghi (cfr. Sez. 3^, 23 gennaio 2003, Haggiag, m. 224.175). Ora, nella fattispecie in esame, i giudici del merito, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, hanno appunto ritenuto che nella specie si era certamente verificata un'alterazione dello stato dei luoghi, in quanto doveva ritenersi accertato - sulla base sia delle deposizioni testimoniali dei pubblici ufficiali che avevano compiuto gli accertamenti, sia dei verbali di sequestro, sia dei rilievi fotografici, e sia dall'accertamento tecnico esperito - che l'imputato non si era limitato ad una semplice ricostruzione del precedente muro di contenimento, ma aveva realizzato (oltre ad uno scavo in trincea in terreno, peraltro subito eliminato dopo il primo sopralluogo) un muro avente una maggiore altezza di circa un metro rispetto a quello precedente, il quale - come rileva la sentenza impugnata - si presentava "effettivamente eccessivo" e quindi idoneo ad alterare lo stato dei luoghi.
Si tratta, come già rilevato, di una valutazione di fatto adeguatamente e congruamente motivata sulla base delle suddette risultanze processuali e che, quindi, non può più essere messa in discussione in questa sede di legittimità. Del resto lo stesso ricorrente ammette (all'inizio del secondo motivo di ricorso) che il ripristino del precedente muro era avvenuto mediante un "rialzo" dello stesso, sia pure da lui definito modesto, e costituisce valutazione di fatto lo stabilire, in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, e specialmente dei luoghi ove l'opera è stata realizzata, se tale maggiore altezza realizzi o meno una modificazione dello stato dei luoghi. D'altra parte, è evidente che, una determinata maggiore altezza del precedente muro ricostruito ben può essere differentemente valutata - secondo l'apprezzamento del giudice del merito - in relazione alla sua idoneità a modificare lo stato dei luoghi a seconda delle caratteristiche proprie della zona vincolata in cui avvenga l'intervento (nella specie si trattava di un intervento realizzato nell'isola di Capri, per cui non è manifestamente irragionevole che i giudici del merito abbiano ritenuto che anche una maggiore altezza di circa un metro era idonea ad alterare in modo rilevante lo stato dei luoghi). Posto questo accertamento di fatto non rivisitabile in questa sede, è di tutta evidenza che non si rientrava nelle ipotesi di cui all'art. 152 decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e che quindi i lavori eseguiti dall'imputato necessitavano della preventiva autorizzazione da parte della autorità competente.
Il secondo ed il quarto motivo, che possono essere congiuntamente esaminati, sono anch'essi manifestamente infondati, in quanto, per le ragioni dianzi indicate, la richiesta fatta con l'atto di appello di disporre la rinnovazione parziale del dibattimento per sentire alcuni testi - oltre che generica, non essendo state nemmeno specificate le circostanze su cui tali testi avrebbero dovuto essere sentiti - era comunque manifestamente infondata, emergendo già dalle risultanze processuali acquisite che l'intervento realizzato aveva modificato lo stato dei luoghi, di modo che la corte d'appello non era tenuta a provvedere ed a motivare in proposito.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 500,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 5 maggio 2004.
Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2004