Consiglio di Stato sez. VI - Sent. 23/03/2018 n. 1878 - Il provvedimento di acquisizione in via amministrativa non è equiparabile alla confisca penale
Consiglio di Stato sez. VI - Sent. 23/03/2018 n. 1878
Il provvedimento di acquisizione in via amministrativa non è equiparabile alla confisca penale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 396 del 2015, proposto da:
Andrea Geri, Luciano Marchetti e Giuseppina Rossitto, rappresentati e difesi dagli avvocati Graziella Ferraroni e Meri Arfaioli, con domicilio ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della VI Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Comune di Castelfiorentino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fausto Falorni, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gian Marco Grez in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la TOSCANA – FIRENZE - SEZIONE TERZA, n. 00894/2014, resa tra le parti, concernente l’impugnazione dell’ordinanza in tema di lottizzazione abusiva n. 74 del 30 maggio 2012 del Comune di Castelfiorentino – risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castelfiorentino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2018 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per l’appellante, l’avvocati Meri Arfaioli, per sé e per delega dell'avvocato Graziella Ferraroni e, per l’appellato, l’avvocato Fausto Falorni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli odierni appellanti, sig.ri Andrea Geri, Luciano Marchetti e Giuseppina Rossitto, sono comproprietari, in forza di un atto di compravendita del 2005, di un terreno, risultante da un frazionamento di un’area, contraddistinto catastalmente nel C.T. di Castelfiorentino al foglio di mappa 60, particelle nn. 201 e 202, per una superficie di 1607 mq, che essi affermano di utilizzare a fini di attività agricola amatoriale, essendosi limitati ad eseguire modesti interventi, autorizzati dal Comune, di recinzione e di creazione di un pozzo nonché di edificazione di un manufatto precario in legno funzionale alla coltivazione del fondo.
Con ordinanza n. 74 del 30 maggio 2012, a firma del dirigente del servizio assetto del territorio, il Comune di Castelfiorentino contestava loro, come anche ad altri proprietari di fondi acquistati con atti distinti ed individuati al catasto al foglio 60, particelle n. 193, 199, 200, 203, 212, 213, 214, 215, 217, 218, 219 e 220, una lottizzazione abusiva sia formale che sostanziale, vietata ai sensi dell’art. 30, D.P.R. 380 del 2001, asserendo che l’acquisto del fondo avrebbe costituito un indebito frazionamento materiale e giuridico della consistenza originaria e che essi avrebbero realizzato sul medesimo opere qualificabile come strutture residenziali, di modo da modificare la destinazione agricola del fondo.
Con il provvedimento de quo, veniva ordinata la sospensione della lottizzazione a scopo edificatorio, con l’avvertimento che l’ordinanza avrebbe comportato l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre del suolo e delle opere stesse, nonché che, trascorsi novanta giorni dalla data di trascrizione, ove non fosse intervenuta la revoca dell’atto, il terreno sarebbe stato acquisito di diritto al patrimonio del Comune, che avrebbe provveduto alla demolizione delle opere realizzate.
In particolare, il Comune motivava la propria scelta con le seguenti ragioni:
“A. per aver realizzato intervento di lottizzazione non autorizzata di un terreno agricolo mediante acquisto di porzioni di terreno agricolo all’uopo frazionato, facenti parte di un originario e più grande appezzamento di terreno, in lotti di esigue dimensioni tali da non consentire il permanere di un’effettiva destinazione agricola e dotati di impianti ed elementi tali da determinare il cambiamento urbanistico della zona e snaturare la programmazione e l’uso del territorio;
- per aver costruito sui singoli lotti (ad eccezione della particella n. 199, F. 60) manufatti edilizi in assenza di idoneo titolo abitativo);
- per utilizzare con scopi residenziali parte dei manufatti realizzati (particelle n. 200, 201, 202, 203, 217, 218, 219, 220, F. 60) attraverso la realizzazione all’interno di essi di cucine e bagni dotati di impianti di adduzione acqua e smaltimento rifiuti, presenza di impianti di riscaldamento, condizionamento ed elettrici e realizzazione di logge e verande, ecc.”.
L’ordinanza veniva impugnata dagli odierni appellanti dinanzi al TAR per la Toscana, i quali contestavano la sussistenza dei presupposti della lottizzazione giuridica e materiale e deducevano la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, L. 47/1985 nonché dell’art. 8, L. 241/1990 ed il vizio di eccesso di potere, per contraddittorietà, travisamento dei fatti e difetto assoluto di motivazione.
Il TAR accoglieva il ricorso in ordine all’insussistenza della lottizzazione cartolare, affermando che non emergerebbe dalla documentazione versata in atti che le caratteristiche del terreno acquistato, sebbene frutto della parcellizzazione di una più ampia area di proprietà del precedente proprietario, potessero lasciare presupporre in modo inequivocabile l’eventuale scopo edificatorio del frazionamento, aggiungendo che anche la previsione, nel contratto, di un’apposita strada campestre per l’accesso ai lotti frazionati non potesse costituire da sola, ed in assenza di ulteriori indici di intento edificatorio, elemento idoneo ad evidenziare l’esistenza di un fenomeno lottizzatorio.
Il TAR, disattendendo le istanze istruttori dei ricorrenti, respingeva, invece, le censure con cui veniva contestata la sussistenza della lottizzazione abusiva sostanziale, affermando che dalle fotografie allegate al verbale dei vigili urbani risulterebbero manufatti ed impianti tecnici con caratteristiche tali da configurare uno sfruttamento residenziale del terreno.
Il primo giudice respingeva anche l’ulteriore motivo di ricorso relativo alla mancanza di un accertamento della lottizzazione in sede penale nonché l’illegittimità della confisca e riteneva inammissibili, per carenza d’interesse, le ulteriori censure sulla fascia di rispetto stradale e fluviale, in quanto irrilevanti rispetto al contenuto dell’ordinanza.
Avverso tale decisione hanno interposto gravame gli odierni appellanti, salvo che per la parte in cui la sentenza esclude la sussistenza della lottizzazione cartolare.
Si è costituito in giudizio il Comune di Castelfiorentino, per resistere al gravame. Il Comune ha altresì proposto appello incidentale, per contestare il capo della sentenza, con il quale era stata esclusa la lottizzazione negoziale.
Nell’udienza dell’08 marzo 2018, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Per motivi di ordine logico-sistematico vanno dapprima esaminati i motivi di censura contenuti nell’appello principale.
Con il primo motivo di gravame, gli appellanti criticano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ravvisato la lottizzazione materiale (sostanziale).
In particolare, si sostiene che dalle fotografie prodotte dagli appellanti emergerebbe con chiarezza che alcuna trasformazione dell’area agricola era stata effettuata, dal momento che dalle stesse risulterebbe che il fondo è coltivato con orto ed alberi da frutto e che permane la destinazione agricola del terreno. L’esame dei manufatti in legno, rappresentati sulle fotografie prodotte dal Comune, non consentirebbe invece di ravvisare una lottizzazione abusiva, ma, al massimo, potrebbe comportare l’ordine di demolizione dei manufatti.
Il concetto tradizionale di lottizzazione, infatti, presupporrebbe un insediamento di una certa consistenza con pregiudizio della funzione pianificatoria del Comune, che esproprierebbe quest’ultimo del proprio potere programmatorio e lo costringerebbe ad iniziative aggiuntive (opere di urbanizzazione, ecc.). Gli interventi in esame sarebbero, invece, tutti ben compatibili con la zona e la sua destinazione agricola. Non sarebbe ravvisabile l’ipotesi di lottizzazione abusiva materiale, in quanto non sussisterebbero elementi precisi ed univoci da cui si possa desumere l’intento di asservire all’edificazione un’area non urbanizzata, tant’è vero che nessuna cucina o bagno erano stati rinvenuti, ma solo un mero manufatto precario in legno, per la conduzione del fondo, nonché un pozzo, che era stato autorizzato a fini agricoli.
Secondo gli appellanti apparirebbe anche illogica la decisione del TAR di escludere la bontà degli accertamenti per alcuni soggetti e di ritenere corretta la complessiva valutazione sottostante all’ordinanza comunale.
Una volta accertato che i singoli acquirenti hanno agito individualmente, senza alcun intento lottizzatorio e senza alcuna attività concordata fra le parti per creare un nuovo insediamento, il TAR avrebbe dovuto escludere ogni lottizzazione, anche materiale. In ogni modo, gli appellanti non avrebbero avuto alcuna coscienza e volontà di realizzare una lottizzazione abusiva, ma avrebbe acquistato, in buona fede, un piccolo appezzamento per farci l’orto, buona fede che escluderebbe ogni profilo di responsabilità.
Quanto alla presenza dell’elettricità, essa sarebbe necessaria per poter attingere l’acqua dal pozzo e neanche il giardinaggio si potrebbe fare a mano, senza uso della corrente elettrica.
Conclusivamente, la presenza di un piccolo manufatto, di un pozzo, della corrente elettrica, della recinzione e di uno stradello di campagna, necessario per raggiungere i fondi successivi, non costituirebbero elementi univoci e precisi da cui far derivare in modo inequivoco l’intento di urbanizzare un’area a scopo edificatorio.
Il motivo d’appello non merita accoglimento.
Secondo l’art. 30, comma 1 del D.P.R. 380/2001, si ha lottizzazione abusiva materiale (sostanziale) di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino una trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione.
Ebbene, il primo giudice ha ritenuto che, nella specie, la lottizzazione abusiva materiale coinvolgente una pluralità di soggetti sarebbe ravvisabile, in quanto l’unitario appezzamento di terreno originario, avrebbe progressivamente perduto la sua connotazione agricola primitiva, non solo attraverso la realizzazione della strada di collegamento tra i vari lotti, la quale, se nella previsione cartolare di cui ai contratti di compravendita conservava una valenza neutra, ha poi avuto una realizzazione funzionale alla urbanizzazione, come sarebbe reso evidente dalla presenza sul suo corso di chiusini con sottostanti pozzetti contenenti tubi corrugati per il passaggio dell’energia elettrica a servizio dei lotti, ma anche alla luce dell’esistenza, in vari lotti, di strutture edilizie non precarie “alcune di queste aventi caratteristiche simili ad una civile abitazione, realizzate in assenza di permesso di costruire e in violazione del regolamento comunale”. Cionondimeno, il TAR ha ritenuto che, nella specie, fosse necessario verificare, se i connotati di trasformazione territoriale evidenziati in termini generali, come coinvolgenti più proprietari dell’area interessata, fossero riferibili anche agli odierni appellanti, ciò in base alla necessaria connotazione soggettiva della responsabilità e alla luce della necessaria unitarietà del fenomeno lottizzatorio, che risulta riferibile solo a terreni che presentino caratteristiche omogenee e che non può certo comportare l’estensione delle pesanti conseguenze giuridiche ai cui all’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 a carico di soggetti che non siano realmente coinvolti nel fenomeno di lottizzazione abusiva. Ciò premesso, il TAR ha ritenuto che gli odierni appellanti fossero pienamente coinvolti nell’accertata lottizzazione abusiva materiale, avendo essi realizzato un manufatto di legno su fondazione di calcestruzzo, avente dimensioni di m. 7,17 di larghezza e m. 8,82 di profondità, per un’altezza massima di 3,23 e minima di m. 2,62, nonché una tettoia con superficie di canniccio e struttura in legno ed un volume accessorio; inoltre, sarebbero stati evidenziati anche lavori di sbancamento e livellamento del terreno in prossimità Rio Pietroso; infine, ci sarebbe anche un’autorizzazione alla realizzazione di un pozzo ad uso potabile ed igienico dell’abitazione e irrigazione orti. Conclusivamente, il Tar ha rilevato che la documentazione allegata al verbale di sopralluogo dei vigili urbani evidenzierebbe in termini netti la profonda trasformazione territoriale e le foto scattate all’interno del fabbricato confermerebbero la destinazione residenziale di quest’ultimo.
A parere del Collegio l’assunto e le conclusioni del primo giudice appaiono pienamente condivisibili, avendo questi dapprima accertato il fenomeno lottizzatorio in termine generali e poi correttamente esposto le ragioni che permettono di affermare che questo sia riferibile agli odierni appellanti.
In particolare, le fotografie degli interni del fabbricato di cui si è già detto sopra evidenziano la presenza di impianti per la distribuzione dell’energia elettrica (comprensivi di corpi di illuminazione) e dell’acqua, ed il manufatto risulta almeno parzialmente arredato (sulle foto si possono vedere una sedia, un tavolino, un lavandino e vari scaffali), di modo da appalesare in termini netti la sua destinazione residenziale e da imporre di escludere che questo possa essere considerato costruzione precaria in legno, per la conduzione del fondo. L’esistenza del manufatto, con le caratteristiche appena illustrate, in uno con le altre trasformazioni del fondo di cui si è detto, fa invece apparire irrilevante che il terreno sia anche coltivato ad orto e che vi siano stati piantati degli alberi da frutto, in quanto ciò costituisce la prova evidente ed inequivoca della trasformazione del fondo, con opere aventi destinazione residenziale e della conseguente perdita della preminente destinazione agricola del lotto.
Questa situazione, poi, s’inserisce senz’altro in un contesto più ampio che fa apparire chiara la volontà degli appellanti di partecipare attivamente al fenomeno lottizzatorio che è stato individuato correttamente dal primo giudice, nei termini sopra illustrati (e che è reso palese, tra l’altro, anche dalla previsione di un sistema di approvvigionamento dei singoli lotti con energia elettrica), tanto da impedire di ritenere che si possa trattare di un mero intervento individuale, in buona fede, irrilevante ai fini della sussistenza della lottizzazione abusiva materiale, che, al massimo, potrebbe comportare l’ordine di demolizione dei manufatti.
Ne segue che, nella specie, sono state senz’altro realizzate opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del terreno stesso, ai sensi dell’art. 30, comma 1, D.P.R. 380/2001 sopra richiamato, ovvero opere edilizie finalizzate alla trasformazione urbanistica in zone non adeguatamente urbanizzate in violazione della normativa vigente, realizzando quindi un aggravio del carico urbanistico, senza rispetto della funzione pianificatoria del Comune.
Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la necessità di una sentenza penale ai fini della confisca e ha respinto le deduzioni circa l’illegittimità della confisca.
Gli appellanti deducono che, con il quarto motivo di ricorso in primo grado, avevano dedotto l’illegittimità dell’ordinanza comunale che ha disposto la sospensione dei lavori, come se la responsabilità per la lottizzazione fosse già stata acclarata in sede penale. L’eventuale lottizzazione abusiva, però, dovrebbe essere semmai accertata penalmente e la confisca ed ogni provvedimento inibitorio potrebbero essere disposti qualora in quella sede si accertasse l’integrazione degli elementi oggettivi e soggettivi del relativo illecito penale. Nessun reato di lottizzazione potrebbe essere ravvisato e/o sarebbe stato accertato e, comunque, mancherebbe anche l’elemento soggettivo con conseguente inammissibilità della confisca.
Contrariamente a quanto assunto dal TAR, con la sentenza Varvara c. Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe poi ritenuto che l’applicazione della confisca urbanistica nelle ipotesi di proscioglimento per estinzione del reato costituirebbe una violazione del principio sancito dall’articolo 7 Cedu. Il Comune non potrebbe, quindi, applicare una sanzione penale, dal momento che ciò potrebbe avvenire soltanto da parte del giudice penale. Inoltre, secondo la Corte di Strasburgo, sarebbe presupposto per l’applicazione della confisca la colpa nella condotta dei soggetti su cui la misura viene ad incidere.
Peraltro, il TAR non avrebbe nemmeno esaminato il settimo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotto che l’articolo 5 del Trattato della Comunità Europea vieterebbe che le autorità nazionali possano imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni del cittadino alle libertà tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, rispetto a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse, per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare. Considerato che si tratterebbe di opere assentite e molto modeste, la sanzione sarebbe, pertanto, illegittima, in quanto manifestamente sproporzionata, essendo semmai sufficiente la mera demolizione delle opere e non l’acquisizione dell’area.
L’articolato motivo d’appello è infondato.
L’art. 30, del D.P.R. 380/2001 statuisce, ai commi 7 e 8: “Nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l'effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 29, ne dispone la sospensione. Il provvedimento comporta l'immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari. Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere”.
Ebbene, la norma prevede l’adozione di atti amministrativi volti a colpire e sanzionare sul piano amministrativo la lottizzazione abusiva di terreni, senza che sia prevista alcuna pregiudiziale penale, cioè di previa verifica della sussistenza della responsabilità penale di cui all’art. 44, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, per cui non pare potersi condividere l’assunto degli appellanti secondo cui il provvedimento di acquisizione del terreno, in via amministrativa, presupporrebbe la previa pronuncia di una sentenza di condanna penale. Il provvedimento amministrativo de quo non può, quindi, essere equiparato o assimilato alla confisca penale, per cui non valgono nemmeno i principi fissati dalla Corte di Strasburgo riguardo a quest’ultima tipologia di misura. In ogni caso, nella specie, non risulta adottata alcuna pronuncia penale di proscioglimento, per prescrizione, o assolutoria, per insussistenza degli elementi costitutivi del reato, che si potrebbe ripercuotere sull’azione amministrativa, mentre, come già detto, quest’ultima non può di certo considerarsi condizionata dalla mera assenza di un procedimento o di una pronuncia penale riguardo alla vicenda oggetto di causa.
Non appare, poi, nemmeno ravvisabile il denunciato difetto di proporzionalità del provvedimento, in violazione dell’art. 5 del Trattato della Comunità Europea, non essendo il relativo principio previsto dalla normativa comunitaria, a parere del Collegio, applicabile al caso di specie, essendo il provvedimento amministrativo impugnato collegato alla commissione di un illecito di natura amministrativa, per cui non ricorre alcuna compromissione di una libertà tutelata dall’ordinamento comunitario attraverso la disposizione invocata dagli appellanti.
Con il terzo motivo di gravame, gli appellanti ripropongono il quinto e sesto motivo di ricorso in primo grado, con i quali censurano il provvedimento gravato laddove esso fa riferimento alla realizzazione di interventi in violazione della fascia di rispetto stradale e della fascia di rispetto fluviale.
Il primo giudice ha ritenuto che le due censure fossero inammissibili, in quanto la motivazione dell’ordinanza n. 74 del 2012 risiederebbe nella ritenuta sussistenza di un’ipotesi di lottizzazione abusiva e che, rispetto a tale forte radicamento dell’atto, l’Amministrazione avrebbe aggiunto anche ulteriori profili motivazionali, riferendosi al mancato rispetto, da parte di alcuni manufatti, delle distanze stradali e fluviali. Queste ultime motivazioni non sarebbero, però, in rapporto causale diretto con la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della lottizzazione abusiva, cosicché la loro contestazione da parte dei ricorrenti apparirebbe priva di interesse, nel senso che, sebbene le esaminate censure fossero fondate, non comporterebbero la conseguenza dell’annullamento dell’ordinanza gravata, una volta chiarito che sussistono i presupposti della lottizzazione abusiva materiale.
Il motivo di gravame non merita accoglimento.
Ritiene il Collegio che le conclusioni del TAR vadano senz’altro condivise, limitandosi la parte dispositiva dell’ordinanza comunale impugnata al mero accertamento della lottizzazione abusiva e all’applicazione delle relative conseguenze di legge. La circostanza, se parte dei manufatti fossero o meno stati edificati in violazione delle distanze stradali e fluviali appare, invece, del tutto ininfluente ai fini della sussistenza del fenomeno lottizzatorio. Ne segue che gli appellanti non hanno alcun interesse concreto alla decisione dei due motivi di ricorso, in quanto il loro eventuale accoglimento non comporterebbe comunque l’annullamento dell’ordinanza gravata. Va, pertanto, confermata la dichiarazione di inammissibilità dei motivi di ricorso in primo grado.
Con il quarto motivo di gravame, gli appellanti affermano che la sentenza impugnata sarebbe frutto di un travisamento dei fatti e una carente istruttoria, non essendo le foto allegate al verbale dei vigili urbani idonee a dare un’adeguata rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi, dal momento che non consentirebbero di percepire che la vocazione e destinazione dell’area non sono state stravolte, in quanto il fondo sarebbe prevalentemente destinato ad orto ed alberi da frutto. Non vi sarebbe dubbio che, in presenza di attività istruttoria, gli esiti della sentenza sarebbero stati totalmente favorevoli agli appellanti. Per questo motivo, gli appellanti insistono, affinché sia disposta la richiesta CTU, volta a verificare lo stato dei luoghi, la permanenza della vocazione agricola, l’utilizzo ad orto e ricovero ovini del terreno, la conformità per dimensioni ed ubicazione dei manufatti assentiti, l’inesistenza di pregiudizio idraulico o per la percorribilità della strada, nonché il valore dei singoli appezzamenti.
Il motivo d’appello non merita di essere accolto.
Al di là del fatto che lo scopo di una CTU non è quello di acquisire elementi prova, mai semmai quello di fornire al giudice elementi idonei a poter valutare fatti dimostrati in altro modo, va ritenuto che le fotografie allegate al rapporto dei vigili siano da sole sufficienti per fondare il convincimento per cui, nella specie, vi siano i presupposti per concludere circa la sussistenza del fenomeno lottizzatorio, il quale, appunto, può essere desunto già dall’esistenza dei manufatti, dalle relative caratteristiche costruttive e dagli impianti nonché dagli elementi di corredo di cui sono dotati, chiaramente risultanti dal predetto materiale fotografico. Ne segue, che, nel caso in esame, deve considerarsi superfluo procedere a specifiche valutazioni peritali, non potendo queste apportare ulteriori elementi utili per la decisione o comunque idonei a smentire le circostanze emergenti inequivocabilmente dal materiale probatorio posto a fondamento dell’ordinanza comunale gravata.
Con il quinto motivo di gravame, gli appellanti deducono che, essendo l’atto amministrativo illegittimo e la sentenza gravata errata, il Comune di Castelfiorentino dovrebbe essere condannato al risarcimento del danno.
Tenuto conto dell’accertamento della legittimità dell’ordinanza comunale impugnata, la domanda di risarcimento danni deve essere respinta, in quanto infondata.
In seguito al rigetto dell’appello principale può considerarsi venuto meno l’interesse del Comune di Castelfiorentino alla decisione dell’appello incidentale (volto alla riforma della sentenza nella parte in cui viene esclusa la lottizzazione abusiva cartolare), il quale deve essere quindi dichiarato improcedibile.
Conclusivamente, l’appello principale va respinto e l’appello incidentale va dichiarato improcedibile, con conseguente conferma integrale della sentenza impugnata.
In considerazione della particolarità del caso, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del presente grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello principale e quello incidentale, come in epigrafe proposti, respinge l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
Oswald Leitner, Consigliere, Estensore