Cass. Pen. Sez. V - Sent 27/03/2019 n. 13386 - Intestazione fittizia: falso mediante induzione in errore del pubblico ufficiale
Cass. Pen. Sez. V - Sent 27 marzo 2019, n. 13386
Intestazione fittizia: falso mediante induzione in errore del pubblico ufficiale
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Presidente: Francesca MORELLI
Rel. Consigliere: Rosa PEZZULLO
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 20 marzo 2018 la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza emessa il 15 gennaio 2016 dal Tribunale di Ravenna, ha assolto A. A., B. B., C. C., dal reato ex art. 3 del d.lgs. 74/2000 di cui al capo b), relativo all'evasione delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto, perché il fatto non sussiste essendovi dubbi sul superamento del tasso soglia di cui alla lett. a) dell'art. 3 cit. - nonché dal reato di cui al capo c) (81, 110 e 483 c.p., per il rilascio di false attestazioni ai pubblici ufficiali della Motorizzazione Civile e del P.R.A., in ordine al venditore effettivo di auto, facendo figurare imprese rumene - XXX o YYY - o il A. A., mentre tali auto erano state importate e vendute da Impresa KKK), limitatamente alle condotte antecedenti al 14 settembre 2010, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, laddove confermava la condanna dei predetti per il medesimo capo c) per le condotte successive al settembre 2010, nonché la condanna degli stessi e di D. D. per il reato associativo di cui al capo a), rideterminando la pena quanto a quest'ultimo in anni uno di reclusione e per gli altri in anni uno e mesi quattro di reclusione (l'altro coimputato E. E. veniva assolto da tutte le imputazioni).
1.1. Con il capo a) è stato contestato a tutti gli imputati -A. A., B. B., C. C. e D. D. - la costituzione di un'associazione finalizzata ad evadere le imposte, tra cui Associazione imprese NNN, attraverso la Impresa KKK, di cui B. B. era il legale rappresentante e C. C. era socio e responsabile delle vendite, società che provvedeva ad importare auto usate dalla Germania e a rivenderle direttamente in Italia, utilizzando però quali venditrici due società rumene (XXX o YYY) fittizie, che emettevano ricevuta, senza versare però le imposte dovute in Italia. In particolare, secondo quanto si legge nelle sentenze di merito, A. A. era a capo della società rumena "cartiera" XXX, che si poneva fittiziamente e fraudolentemente quale intermediario con la Impresa ZZZ, sita a Monaco di Baviera, con rappresentante legale D. D.; le operazioni fraudolente consistevano nella dichiarazione della Impresa KKK di acquistare - per poi rivendere - le auto non direttamente dal D. D. in Germania, ma fittiziamente dalla Romania, per tramite delle due società in realtà inesistenti, appunto la XXX e la YYY, con omissione attraverso tali operazioni del pagamento delle imposte; esisteva in proposito un accordo scritto del 12.1.2009 col quale Impresa KKK assumeva il compito di procacciare affari per XXX, che restava unico contraente legale di ogni compravendita della Impresa KKK ricevendo un compenso variabile per ogni auto; il compendio probatorio a carico degli imputati era costituito dagli esiti dei controlli effettuati dall'Agenzia delle Entrate, dall'Agenzia delle Dogane e dalla Polizia stradale di Ravenna, nonché dalla documentazione acquisita e dal contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione.
2. Avverso la predetta sentenza di appello hanno proposto distinti ricorsi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia e segnatamente:
2.1. A. A. affidandosi ad un unico articolato motivo, lamenta il vizio di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p., atteso che il compendio probatorio, eminentemente indiziario, non consente la configurabilità della contestata associazione a delinquere; in primo luogo merita censura la valutazione della Corte territoriale che ha ritenuto sussistente l'ipotesi associativa - e non piuttosto l'ipotesi di un concorso nel reato - sulla base della considerazione che l'associazione aveva come scopo la commissione di "più reati" di quelli indicati ai capi successivi, riferendosi, dunque, ad un genus più ampio del quale le condotte contestate ai capi a) e b) avrebbero costituito solo una species; tale interpretazione non può essere condivisa, atteso che la stessa Corte territoriale finisce (alla pg. 20), con il rivelare che il meccanismo sotteso alle attività di compravendita era inequivocabilmente finalizzato all'evasione dell'IVA, sicché i reati non potevano essere che quelli predeterminati contestati ai capi b) e c), laddove la giurisprudenza di legittimità richiede che l'associazione per delinquere sia volta alla stabile consumazione di più reati; inoltre, i giudici di merito sono arrivati ad affermare l'esistenza dell'associazione per il mancato versamento dell'IVA in Romania, senza che di tale circostanza vi fosse una prova diretta e siffatto argomentare è in contrasto con i dettami della giurisprudenza di legittimità che richiede un fatto processualmente certo come fondamento di una prova indiretta; inoltre, per ricostruire l'esistenza dell'associazione e della fittizietà delle intermediazioni i giudici di merito hanno erroneamente affermato che le due società rumene non avrebbero effettuato operazioni commerciali diverse da quelle dei capi di imputazione, omettendo così di valutare le altre operazioni, così come risultanti dalla documentazione in atti; le dichiarazioni del F. F. all'udienza del 4.7.2014, secondo cui le società rumene non avrebbero versato Associazione imprese NNN in quel paese sono frutto di un travisamento, avendo il teste evidenziato che per accertare se effettivamente Associazione imprese NNN fosse stata versata occorreva una rogatoria non espletata; le circostanze che ben 11 acquirenti delle autovetture avevano versato le caparre ad Impresa KKK e che il dipendente di XXX, G. G. aveva rapporti prevalentemente con B. B. non appaiono decisive; allo stesso modo è censurabile il ragionamento che collega l'assenza di ragione economica della collaborazione Impresa KKK - XXX e YYY alla finalità di mancato versamento dell'IVA; infine, per quanto concerne il reato di cui al capo c) nessuna argomentazione per giustificarne l'esistenza risulta addotta dai giudici di merito;
2.2. B. B. e C. C., affidandosi a tre motivi di ricorso, lamentano:
- il vizio di motivazione in ordine all'accertamento del reato fine di cui al capo c) della rubrica; in particolare, sia il primo giudice, che la Corte d'appello non hanno statuito alcuna pena o frazione di pena per le ipotesi di falso residue rispetto a quelle prescritte e una siffatta violazione si presenta del - tutto insanabile; anche la motivazione afferente tale reato è praticamente insussistente, sicché la stretta correlazione tra tale reato e quello di cui al capo a) rende insussistente anche il delitto associativo venendo a mancare l'elemento fondante di esso;
- la violazione di legge in relazione al contestato delitto di falso, posto che nessuno degli imputati ha rilasciato dichiarazioni o attestazioni, e alcun dovere giuridico di veridicità vi era nelle dichiarazioni di compravendita delle autovetture, dichiarazioni che inoltre non erano dirette ad alcun pubblico ufficiale; il divieto di intestazione fittizia è, invero, posto dall'ordinamento esclusivamente a tutela della circolazione stradale, e non anche per l'assolvimento del versamento delle imposte, ed è sanzionato unicamente in via amministrativa; il disvalore del fatto risulterebbe totalmente assorbito dalla disposizione speciale del Codice della Strada, in relazione ai fatti successivi all'entrata in vigore della disposizione di cui all'art. 94 stesso C.d.S.; soltanto con il D.M. 26 marzo 2018 veniva espressamente stabilita 'dall'art. 4, quale causa ostativa all'immatricolazione, la condizione costituita da risultanze istruttorie su fenomeni di frode all'IVA connesse all' introduzione dell'autoveicolo nel territorio nazionale;
- l'assenza di motivazione in ordine alla prova del mancato versamento Iva da parte delle società rumene, fatto questo provato solo in via induttiva e con prova indiretta, come è ugualmente illegittimamente provata in via indiretta l'esistenza del vincolo associativo, senza che tali indizi fossero provvisti di gravità, precisione e concordanza; in particolare, tali indizi, del tutto generici e neutri, sarebbero costituiti: nella presenza di auto di provenienza tedesca in conto vendita presso l'autosalone Impresa KKK, nonché nell'assenza di una ulteriore giustificazione della triangolazione delle fatture, se non l'omissione del versamento dell'Iva, senza valutare le dichiarazioni degli imputati che giustificavano tale operazione con le difficoltà economiche della Impresa KKK e nella restrizione del credito bancario che non consentivano una anticipazione sugli acquisti e sulle fatture di vendita;
2.3. D. D., affidandosi ad un unico motivo lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta associazione per delinquere e alla sua partecipazione ad essa; invero, i giudici di merito non hanno indicato il contributo concreto del D. D. nell'associazione e il dolo specifico rappresentato nella volontà di contribuire e realizzare gli scopi della stessa, alla luce anche del proscioglimento, per i correi, per uno dei due reati fine contestati.
Considerato in diritto
1. Va premesso che, successivamente alla sentenza impugnata, è maturato il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi per il reato di falso ex art. 483 c.p. di cui al capo c), per i fatti posteriori al settembre 2010 (l'ultimo fatto contestato risale al 3 gennaio 2011), sicché non essendo manifestamente infondati i ricorsi di A. A., B. B. e C. C. in relazione a tale reato, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione. In particolare, per quanto concerne il reato di falso suddetto, la non manifesta infondatezza del ricorso, con la conseguente declaratoria di prescrizione, discende dal rilievo che i giudici di merito non hanno sviluppato una compiuta motivazione in merito alla ricorrenza di tale fattispecie, nonché sulla relativa pena. In merito a 3 quest'ultima, le sentenze di merito contraddittoriamente - ed in particolare quella di primo grado - pur avendo ritenuto in sostanza i suddetti imputati responsabili del reato di cui al capo c) ed avendo, poi, dichiarato in appello prescritti i fatti sino al 14.9.2010, non hanno determinato una pena per la condotta per la quale è intervenuta condanna.
2. I ricorsi di A. A., B. B., C. C. vanno respinti nel resto, mentre va respinto in toto il ricorso di D. D..
Va in premessa evidenziato, in linea generale, che i ricorrenti ripongono in questa sede temi e questioni già proposti in appello per i quali la Corte territoriale ha fornito congrue risposte, prive di vizi logici e di violazioni di legge. In particolare, i ricorrenti in più punti dei rispettivi ricorsi tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi, invece, alla esclusiva competenza del giudice di merito. Secondo l'incontrastata giurisprudenza di legittimità, infatti, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone).
2.1. Tanto premesso, si osserva in particolare che A. A. ripropone in questa sede, innanzitutto, il tema della configurabilità al più di un concorso di persone nel reato e non di un'associazione per delinquere finalizzata all'evasione delle imposte- che la Impresa KKK avrebbe dovuto corrispondere, essendo la reale cedente delle autovetture - coinvolgendo la fattispecie un accordo per la commissione di due reati predeterminati (capi b e c). Tale deduzione è infondata, non meritando censure le valutazioni dei giudici di merito che hanno in proposito evidenziato senza illogicità come nella fattispecie non risulti a priori ravvisabile un programma circoscritto alla consumazione di uno o più delitti predeterminati, atteso che l'associazione criminosa stessa non poteva aver pianificato le singole condotte all'atto della conclusione dell'accordo, in quanto la realizzazione di ciascuna condotta non dipendeva soltanto dalla volontà degli imputati, poiché le autovetture potevano essere vendute solo se vi erano acquirenti disposti a comprarle e, ancora, gli stessi veicoli potevano essere proposti ai clienti solo dopo essere stati reperiti sul mercato tedesco.
Altrettanto non illogicamente, poi, è stato rilevato nella sentenza impugnata come la descrizione del reato in contestazione non reciti "allo scopo di commettere i reati di cui ai capi che seguono", bensì a "più reati di quelli di cui ai capi che seguono", sicché già il riferimento a "più reati" di cui al capo di imputazione non può che riferirsi ad "un di più" ossia ad un genus più ampio, di cui le condotte specificamente contestate ai successivi capi costituiscono una mera species.
Tale valutazione- che scaturisce dal mero dato letterale ricavabile dalla formulazione dell'imputazione- trova conferma nelle concrete modalità dei fatti per cui è processo, come descritti nelle sentenze di merito, che fanno corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui ai fini della configurabilità di una associazione a delinquere è necessaria l' esistenza di un programma criminoso che preveda un numero indeterminato di delitti da commettere, ben potendo, tuttavia, l'associazione essere progettata per operare per un tempo determinato (Sez. 6 n. 38524 dell'11/07/2018).
2.1.1. I giudici di merito hanno evidenziato, in particolare, come tra il concessionario italiano Impresa KKK e le società rumene - XXX, a capo della quale vi era il A. A., e YYY - non vi fosse in realtà alcuna alterità soggettiva e che anzi queste ultime rappresentassero delle c.d. società cartiera costituite al fine esclusivo di frodare il fisco. Invero, XXX e YYY erano state coinvolte nell'operazione di evasione dell'Iva nell'ambito delle operazioni di importazione di automobili, sfruttando una regolare fattura di vendita da parte delle stesse, cui non seguiva il versamento della medesima imposta. Esse erano, in particolare, utilizzate al fine di simulare un versamento dell'Iva, imposta europea, che in realtà non è mai avvenuto: le società rumene erano coinvolte in una triangolazione di vendite delle autovetture che dalla Germania, tramite il D. D., passava in Romania, tramite A. A., e quindi in Italia ad Impresa KKK, di cui B. B. era il legale rappresentante e C. C. socio e responsabile delle vendite. In definitiva, tale serie di passaggi era volta alla costruzione di un meccanismo fraudolento di evasione dell'imposta sul valore aggiunto, mediante l'interposizione delle due società cartiere, aventi il solo scopo di emettere fatture - con l'esposizione di un'imposta in realtà non versata - destinate ad essere utilizzate nella catena delle cessioni per simulare il versamento della stessa. Una siffatta catena fraudolenta di cessioni è stata ritenuta dai giudici di merito integrante perfettamente l'elemento oggettivo del reato di evasione delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto, avuta di mira dall'associazione per delinquere di cui al capo a).
2.1.2. Tale ricostruzione trova ampia conferma nelle intercettazioni telefoniche, nelle ispezioni presso la sede del concessionario in Italia, nella documentazione ivi ritrovata afferente alle società cartiere rumene e, in particolare, alla loro costituzione, nello stipendio fisso corrisposto da Impresa KKK al G. G., dipendente della XXX, nella documentazione afferente alle operazioni di rivendita delle automobili rinvenuta a casa del C. C., nel fatto che il D. D. dalla Germania si rapportasse direttamente con il C. C. e lo B. B. e non con le società rumene, nonché nell'esistenza di un accordo scritto tra Impresa KKK e XXX.
Tali elementi hanno condotto alla ricostruzione da parte delle sentenze di merito di un abusivo meccanismo di triangolazione fittizia delle vendite, logica e coerente, che dà conto dell'esistenza di un meccanismo di frode ben studiato da parte degli imputati, così da simulare il versamento dell'Iva.
2.1.3. Collante decisivo in merito alla ricostruzione in questione risulta altresì la considerazione che nessuna altra utilità e nessuna ragionevolezza economica avrebbero avuto le triangolazioni delle cessioni delle autovetture, se non il mancato versamento dell'Iva in Romania. Non avrebbe avuto altro senso, infatti, acquistare delle autovetture usate di grossa cilindrata dalla Germania passando per la Romania, poiché tale meccanismo non avrebbe fatto altro che far aumentare il costo finale delle stesse (la sentenza impugnata in particolare ha evidenziato come non possa neppure parlarsi di risparmio dell'Iva nell'adozione di siffatto modello operativo, posto che tale imposta in Romania aveva un'aliquota del 19% al 30.6.2010, passando al 24% dall'1.7.2010, mentre in Italia nello stesso periodo era del 20%). Appare allora evidente che un prezzo competitivo, così come quello offerto da Impresa KKK ai clienti, non poteva che essere praticato se non alla luce del minor costo di acquisto, rappresentato dall'omesso versamento dell'imposta da parte delle società fittizie rumene. Solo riducendo tale importo e quindi solo dichiarando versata una imposta che successivamente non veniva corrisposta sarebbe stato possibile garantire prezzi di vendita inferiori a quelli del mercato, realizzando altresì un profitto per la società Impresa KKK, vera organizzatrice di tutta la filiera delle triangolazioni, soggetto alle spalle di XXX e YYY, che rappresentavano un contenitore vuoto tramite cui far circolare (solo formalmente per tramite delle fatture di vendita e mai fisicamente) le vetture da importare in Italia ed eludere così i controlli del fisco sul versamento dell'imposta europea.
2.1.4. Dalla esistenza del meccanismo fraudolento di triangolazione delle vendite, si ricava, pertanto, anche l'esistenza dell'associazione per delinquere posta in essere per realizzare tale specifico reato. Invero, un siffatto complesso meccanismo elusivo richiedeva una specifica organizzazione e l'apporto di più soggetti, presenti in tre paesi e nelle varie società, ognuno con un puntuale ruolo ed un precipuo compito. Ed è invero proprio tale elemento della simulazione dell'imposta sul valore aggiunto che dà razionalità e ragionevolezza economica a tutta l'operazione e, di conseguenza, alla costituzione di una associazione per delinquere che vedeva nel risparmio di spesa, rappresentato dal mancato versamento della stessa la sua fonte di guadagno e la sua intima ratio.
2.1.5. Peraltro, ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere, non si richiede l'apposita creazione di un'organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente l'attivazione di una struttura, che può essere anche preesistente all'ideazione criminosa e già dedita a finalità lecita (arg. ex Sez. 6, n. 10886 del 28/11/2013, Rv. 259493), né è necessario, come evidenziato, che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso, a prescindere dalla sua durata nel tempo, non sia "a priori" circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati. Inoltre, in tema di associazione per delinquere, è consentito al giudice, dedurre la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione delle attività illecite rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l'operatività dell'associazione medesima (Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016 Rv. 266670).
La circostanza, poi, che gli imputati siano stati assolti dal reato di cui al capo b), essendovi dubbi circa il superamento del tasso soglia non esclude la ricorrenza dell'associazione in questione volta appunto ad evadere le imposte connesse alla vendita delle auto, essendo rimasto accertato, come si dirà innanzi, il mancato versamento dell'Iva da parte di Impresa KKK e delle società rumene.
2.1.6 L'elemento soggettivo della evasione e dunque della consapevole adesione al sodalizio che tale evasione pratica, seppur non contestato espressamente nei motivi di ricorso del A. A., ma solo dal D. D., appare perfettamente integrato secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla luce dei principi, secondo cui, "in tema di evasione dell'IVA mediante il meccanismo delle cd. frodi carosello, che, nelle operazioni di importazione di beni, sfrutta la neutralizzazione dell'IVA all'acquisto mediante l'interposizione di società cartiere, aventi il solo scopo di emettere fatture - con l'esposizione di un'imposta in realtà non versata - destinate ad essere utilizzate nella catena delle cessioni per creare crediti d'imposta inesistenti, una volta appurata l'oggettiva sussistenza della frode attraverso la ricostruzione dei passaggi in cui, in concreto, detto meccanismo si estrinseca, è insita nella stessa gestione di fatto delle società coinvolte, e conseguentemente nella regia e supervisione delle operazioni commerciali dalle stesse poste in essere, la piena consapevolezza, in capo ai soggetti agenti, del sistema fraudolento complessivo, la cui prova principe è costituita dall'esiguità del prezzo di acquisto della merce rispetto a quello corrente" (Sez. 3, 18924 del 20/01/2017).
2.1.7. Le ulteriori doglianze del A. A. in merito alla insussistenza del delitto associativo nel contesto descritto appaiono alquanto generiche e smentite dalla puntuale ricostruzione offerta dai giudici di merito. Invero, il meccanismo fraudolento di evasione, attraverso la creazione di una rete di relazioni tra gli imputati operanti in più stati (D. D. era il legale rappresentante di Impresa ZZZ di Monaco di Baviera e si interfacciava non con le società rumene, ma direttamente con C. C. e B. B., rispettivamente socio responsabile delle vendite e legale rappresentante di Impresa KKK in Italia, mentre il A. A., quale gestore di XXX, emetteva false fatture di vendita a favore degli acquirenti italiani delle vetture vendute in realtà da Impresa KKK), nonché la commissione dell'attività illecita di evasione programmata danno conto pienamente di una struttura organizzativa dedita all'illecita evasione delle imposte.
2.1.8. Priva di fondamento appare l'affermazione del A. A., secondo cui la prova del mancato versamento dell'Iva in Romania da parte di XXX e YYY risulta mancante, non essendo stata fornita dalla pubblica accusa. Invero, il mancato versamento in questione è stato ricostruito in via induttiva con un percorso logico-argomentativo privo di vizi e che ha permesso di inquadrare in una razionalità economica tutto il complesso sistema di vendite triangolari fittizie. In particolare, il ricorrente non si confronta con il preciso dato fattuale messo in risalto nella sentenza impugnata, secondo cui i funzionari del fisco rumeno avevano rilevato appunto nel corso di un accertamento presso XXX che per una serie di autovetture acquistate da rivenditori tedeschi non era stata versata l'Iva, circostanza questa giustificata dallo B. B. (non già dal A. A.) con il fatto che le stesse si trovavano ancora in conto vendita presso Impresa KKK; inoltre, dai tenore delle conversazioni oggetto di captazione risulta che gli accertamenti su XXX avevano preoccupato gli imputati tanto da indurre lo B. B. e G. G. a discutere dell'allontanamento di A. A. dall'associazione. Tali elementi - che non risultano seriamente smentiti dall'imputato - appaiono univocamente indicativi del mancato versamento dell'IVA da parte delle società rumene sicché alcun elemento ulteriore a comprova andava addotto dal P.M. avendo già il fisco rumeno rilevato l'anomalia, non superata all'evidenza dalle spiegazioni dello B. B. che neppure aveva provveduto in Italia al versamento dell'imposta.
Nessun travisamento in proposito è dato ravvisare da parte della Corte territoriale delle dichiarazioni del teste F. F. che ha riferito appunto quanto riportato nella sentenza impugnata. Proprio a tal fine appaiono del tutto generiche, prive di fondamento e logicità le affermazioni che tale triangolazione fosse stata giustificata dalle difficoltà economiche di Impresa KKK e dalla restrizione del credito bancario, poiché non si comprende come il passaggio in Romania avrebbe potuto permettere un risparmio di spesa rispetto all'acquisto direttamente in Germania delle autovetture.
2.1.9. Del tutto generica appare, poi, la deduzione che i giudici di merito avrebbero altresì omesso di valutare le altre operazioni, così come risultanti dalla documentazione in atti, poste in essere dalle società rumene a dimostrazione della non fittizietà delle stesse. Invero, tale documentazione - che si traduce in un ricorso presentato da Impresa KKK alla Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna (a11.2) - non appare in alcun modo idoneo a dimostrare quanto dedotto, limitandosi a descrivere, secondo una personale ricostruzione, i rapporti tra le varie società coinvolte per aspetti che, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, non interferiscono con le contestazioni specificamente mosse all'imputato. Peraltro, non si comprende come il compimento di altre operazioni da parte di XXX e YYY possa determinare il superamento della loro qualifica di società meramente fittizie e costituite al precipuo scopo di evadere l'imposta dovuta. In proposito, il ricorrente con si confronta con la prova che la documentazione delle medesime società fosse rinvenuta nell'abitazione del C. C., che vi fosse un accordo scritto tra le stesse e Impresa KKK e che alla utenza telefonica di XXX rispondesse lo stesso concessionario italiano, tutti elementi che da soli documentano l'impossibilità di una alterità soggettiva tra le società rumene e quella italiana.
2.1.10. Si traducono in mere censure in fatto inammissibili in sede di legittimità le ulteriori doglianze del A. A. In particolare, l'asserita erronea valutazione delle intercettazioni telefoniche tra B. B. e G. G., rappresentando queste una prova priva dei requisiti di gravità precisione e concordanza, oltre a rappresentare una doglianza in punto di fatto e pertanto inammissibile in questa sede, appare priva di fondamento. Difatti, non solo emerge da esse il rapporto privilegiato del G. G., dipendente di XXX, e B. B., rappresentante del concessionario italiano, ma appare come tale ultimo soggetto sia l'ideatore e il reale responsabile di tutto il meccanismo fraudolento di triangolazioni. Inoltre, tali dichiarazioni, vanno lette alla luce della circostanza dell'esistenza dell'accordo scritto di retrocessione del denaro e circolazione delle vendite tra il concessionario Impresa KKK e XXX, che la documentazione di tale ultima società fosse in realtà in Italia e che il G. G. fosse direttamente "a stipendio" da Impresa KKK. In definitiva, tali intercettazioni non fanno altro che confermare, con la voce dei diretti interessati, la ricostruzione del meccanismo fraudolento di circolazione realizzato dagli imputati. Per le medesime considerazioni appaiono del tutto infelici e prive di fondamento le asserzioni del A. A. circa il fatto che 11 acquirenti delle autovetture avessero versato le caparre confermative ad Impresa KKK e che il dipendente di XXX G. G. avesse rapporti prevalentemente con B. B., posto che non solo rappresentano motivi reiterativi ed in fatto, ma anche generici e non rapportati alla motivazione della pronuncia impugnata che illustra tutto l'iter di triangolazione delle vendite e che quindi queste in realtà fossero vendute proprio da Impresa KKK e solo fittiziamente dalle società cartiera rumene.
3. I ricorsi di B. B. e C. C. sono anch'essi infondati in relazione alla ricorrenza del delitto associativo.
3.1. Il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso si incentrano eminentemente sul reato di cui al capo c), per il quale, come già evidenziato al par. sub 1, al quale si rimanda, non essendo le doglianze sviluppate in proposito dagli imputati manifestamente infondate, è stata rilevata l'intervenuta prescrizione del reato. Non può condividersi l'ulteriore assunto dei ricorrenti, secondo cui l'insussistenza del reato di falso sub C) dovrebbe conseguentemente comportare anche l'insussistenza del reato associativo, al primo saldamente ancorato. Ed invero, pur . nella contraddittorietà rilevata, circa il riconoscimento della responsabilità degli imputati per il reato di falso e la mancata irrogazione di una pena per esso, non si ravvisano elementi per ritenere sussistenti in modo evidente ragioni di proscioglimento degli imputati, alla luce della regola di giudizio posta dal secondo comma del medesimo art. 129 c.p.p., rilevabile, tuttavia, soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. III, n. 10221 del 24/01/2013).
Nel caso di specie, per tutte le ragioni esposte, ricorrono invece elementi per ritenere sussistenti i fatti elencati al capo c), in dipendenza della fittizietà dell'operare delle società rumene e delle dichiarazioni secondo cui, invece, tali auto venivano cedute dalle società rumene, come già ampiamente esposto, sicché non può dirsi che sia "venuto meno" il reato di cui al capo c).
3.1.1. Per quanto concerne, in particolare, la configurabilità nella fattispecie dell'illecito amministrativo di cui all'art. 94- bis C.d.S., invece del delitto di falso sub c) vanno richiamati i principi espressi da questa Corte integralmente condivisibili, secondo cui integra il delitto di falso mediante induzione in errore del pubblico ufficiale - e non l'illecito amministrativo di cui all'art. 94-bis del codice della Strada - la condotta di colui che dichiari all'operatore degli uffici del Pubblico Registro Automobilistico di essere proprietario, sì da ottenerne la immatricolazione, di alcune autovetture, in realtà nella effettiva disponibilità di altri, essendone egli solo l'intestatario fittizio per effetto di operazioni simulate (Sez. 5, n. 37944 del 31/05/2017 Rv. 270762 - 01). Nel caso di specie gli imputati hanno dichiarato fittiziamente ai pubblici ufficiali della Motorizzazione che gli acquirenti dei veicoli erano le società rumene così consentendo alla Auto Star di evadere le imposte connesse alle vendite dei suddetti veicoli integrando pienamente l' ipotesi di reato in questione.
3.2. In merito poi all'omesso accertamento del versamento dell'Iva da parte delle società rumene ed alla insussistenza dell'associazione si rimanda alla trattazione di cui al par. 2.1 e ss.
4. Il ricorso di D. D. afferente la violazione di legge e il vizio di motivazione circa l'esistenza dell'associazione per delinquere ed il contributo del medesimo nella associazione, ivi compreso l'elemento psicologico, appare anche qui opportuno richiamare quanto evidenziato per il ricorso del A. A. par. 2.1. e ss.
5. La sentenza annullata va dunque annullata senza rinvio limitatamente al capo c) perché il reato è estinto per prescrizione, mentre i ricorsi vanno respinti nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo c) perché il reato è estinto per prescrizione; rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma il 20 dicembre 2018.
Il Presidente: MORELLI
Il Consigliere estensore: PEZZULLO
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2019.
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