Cass. pen. sez. VII - Ord. 10/05/2017 n. 22766 - False attestazioni sull'identità personale ad un P.U.

Cass. pen. sez. VII - Ord. 10/05/2017 n. 22766

False attestazioni sull'identità personale ad un P.U.

ORDINANZA

sul ricorso proposto da: D.M. nt. il xx/xx/xxxx avverso la sentenza n. 2871/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del 09/02/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha confermato l'affermazione di responsabilità di D.M. per il reato di dichiarazione di false generalità ex art. 495 cod. pen. Avverso l'indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, denunziando violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione alla affermazione di responsabilità, sostenendo la mancanza di prova dell'elemento soggettivo del reato perché, quando aveva declinato le generalità, non aveva ben compreso quanto richiestole non comprendendo bene la lingua italiana. Il ricorso è inammissibile. I motivi proposti sono del tutto generici e per questo manchevoli dell'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 19951 del 15 maggio 2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 1 n. 39598 del 30 settembre 2004, Burzotta, Rv. 230634).

E va in proposito rammentato il principio di diritto secondo il quale la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, che comporta, a norma dell'art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l'inammissibilità (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, 18.9.1997 - 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Sez. 5, 27.1.2005 - 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Sez. 5, 12.12.1996, n. 3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).

Si deve anche rilevare che le doglianze sono tutte articolate in fatto, con richiesta di valutazioni di merito non ammissibili in sede di legittimità. In punto di diritto va precisato che certamente integra il reato di cui all'art. 495 cod. pen. lacondotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca agli organi di polizia false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni - in assenza di altri mezzi di identificazione - rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l'elemento distintivo del reato di cui all'art. 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all'ipotesi di reato di cui all'art. 496 cod. pen. (Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014, Sdiri, Rv. 262658; Sez. 5, n. 3042 del 03/12/2010, Gorizia, Rv. 249707).

Va infine ribadito che nel delitto di falsa attestazione inerente ad una qualità personale del dichiarante non si richiede il dolo specifico, non essendo rilevante il fine perseguito dall'autore della falsità, ma è sufficiente la coscienza e volontà della condotta delittuosa (Sez. 5, n. 18476 del 26/02/2016, Livreri, Rv. 266549). All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 2000,00.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017

 

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