Cass. pen. sez. I - Sent. 01/08/2019 n. 35387 - Dimenticarsi il coltello da lavoro in tasca non rende giustificabile il porto fuori dalla abitazione

Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 9 luglio – 1 agosto 2019, n. 35387

Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del Tribunale di Caltagirone in data 17/10/2018, M.A. fu condannato alla pena di 667,00 Euro di ammenda in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche, del reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, celandolo all’interno della tasca destra dei jeans, un coltello a serramanico, della lunghezza complessiva di 16 cm., avente la lama di 7 cm. (fatto accertato in (omissis) in data (omissis) ).
All’esito dell’istruzione dibattimentale e, in particolare, a seguito dell’escussione del teste P.A. , all’epoca dei fatti in servizio presso la Compagnia dei Carabinieri di Caltagirone, era emerso che M. era stato trovato, durante un servizio perlustrativo nei pressi di un parco, in possesso di un coltello, delle caratteristiche indicate nell’imputazione, detenuto nella tasca dei pantaloni. Nel frangente, l’imputato aveva affermato di utilizzare il coltello come strumento da lavoro in campagna "per tagliare, mangiare e lavorare", di essere solito lasciarlo sul luogo di lavoro, circostanza confermata dal teste della difesa R.S. , sentito nel corso della medesima udienza, il quale aveva riferito di avere lavorato assieme a M. nelle campagne di (…), ove i due avevano utilizzato strumenti da lavoro, tra cui dei coltelli. L’imputato aveva, dunque, affermato di avere erroneamente portato con sé, quel giorno, il coltello rinvenuto dagli operanti.
Secondo il Tribunale, tuttavia, il possesso dello strumento, fuori dall’abitazione, doveva ritenersi ingiustificato, non avendo l’imputato indicato un valido motivo per il porto dell’attrezzo, tanto più che, come confermato dall’imputato e dal teste R. , esisteva in campagna un casolare di legno adibito al ricovero degli attrezzi da lavoro; e nessuna rilevanza dovendo riconoscersi, ai fini dell’integrazione della fattispecie, alla mancanza di dolo, attesa la natura contravvenzionale dell’illecito e la conseguente rilevanza anche delle condotte di mera negligenza.
Peraltro, trattandosi di un coltello avente dimensioni modeste e tenuto conto della non abitualità della condotta, il Tribunale ritenne configurabile l’attenuante di cui al secondo periodo della L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 3, presentando la condotta i caratteri della lieve entità.
Pertanto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in considerazione dello stato di incensuratezza dell’imputato, della sua condotta processuale e della limitata dimensione offensiva della condotta in esame, la pena finale, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p., fu determinata in 667,00 Euro di ammenda.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo stesso M. per mezzo del difensore di fiducia, avv. CP, deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la inosservanza o erronea applicazione della L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, per essere stato il reato ritenuto sussistente nonostante che l’imputato avesse fornito una "giustificazione" del possesso del coltello.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 131 bis c.p., per avere il Giudice di merito omesso di pronunciare sentenza di proscioglimento, per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis c.p., nonostante che per la modalità della condotta, l’esiguità del pericolo e la mancanza di abitualità nel comportamento dell’imputato, il fatto dovesse essere qualificato come "di lieve entità", avendo la stessa sentenza qualificato in tal modo la condotta, sottolineando, altresì, come l’imputato avesse agito con mera negligenza.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), della mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione agli artt. 125 e 546 c.p.p., avendo il Tribunale omesso di indicare le ragioni per cui ha ritenuto inattendibile la prova contraria, costituita dalla deposizione del teste R.S. , con ciò non adempiendo l’onere motivazionale sul medesimo incombente. Inoltre, dalla sentenza impugnata emergerebbe una evidente contraddizione, atteso che il Giudice di merito, da una parte (pag. 3 della motivazione righi 11-15), avrebbe qualificato la condotta dell’imputato come di lieve entità e non abituale; e, dall’altra parte, non avrebbe riconosciuto la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., nonostante lo stato incensuratezza dell’imputato, la non abitualità della condotta, la sua irrilevanza e la "giustificazione" offerta.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto per quanto di ragione.

2. Muovendo dall’esame del primo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente deduce l’errore nel quale il Tribunale sarebbe incorso nel ritenere privo di "giustificazione" il possesso del coltello, rileva il Collegio che le ragioni di doglianza sono infondate.
Invero, il Tribunale di Caltagirone ha spiegato, in maniera del tutto puntuale, le ragioni per le quali non poteva accedersi alle spiegazioni offerte dall’imputato, valorizzando le dichiarazioni rese dallo stesso M. e dal testimone della difesa, R.S. , suo collega di lavoro, i quali avevano riferito come gli strumenti di lavoro, tra cui anche i coltelli, venissero solitamente custoditi in un apposito sito, allestito sul posto di lavoro, all’evidente fine di evitare che gli attrezzi fossero portati con sé, dai vari dipendenti, fuori dal luogo di lavoro. Una circostanza che dimostra, all’evidenza, come il porto del coltello fosse avvenuto in maniera del tutto ingiustificata, non potendo assumere alcuna valenza l’eventuale dimenticanza da parte dell’agente, la quale ovviamente attiene al profilo soggettivo dell’illecito contravvenzionale e non a quello oggettivo, proprio degli elementi negativi del fatto tipico, come, appunto, il "giustificato motivo".

2.1. Consegue alle considerazioni che precedono l’infondatezza della parte del terzo motivo di ricorso in cui è stato dedotto il vizio di motivazione per avere il Tribunale omesso di indicare le ragioni per cui avrebbe ritenuto inattendibile la prova contraria, costituita dalla deposizione del teste R.S. . Testimonianza, questa, che è stata, al contrario, valorizzata proprio per argomentare in ordine alla inconferenza delle ragioni addotte dallo stesso M. .

3. Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso, concernente la mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p., per avere il Giudice di merito omesso di pronunciare sentenza di proscioglimento, per la particolare tenuità del fatto, ritualmente invocata dalla difesa dell’imputato in sede di conclusioni. E fondata è, altresì, la connessa doglianza, articolata con il terzo motivo, circa la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, per avere il Giudice di merito qualificato la condotta dell’imputato come di lieve entità e non abituale, senza, tuttavia, applicare la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p..

3.1. Osserva, sul punto, il Collegio che l’art. 131 bis c.p., introdotto con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, art. 1, comma 2, prevede l’esclusione della punibilità quando, in presenza di reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni (ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla suddetta pena detentiva), l’offesa, per le modalità della condotta, per l’esiguità del danno o del pericolo ed il grado della colpevolezza, valutati ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, sia di particolare tenuità; e sempre che il comportamento risulti non abituale.

Secondo la giurisprudenza di legittimità si è in presenza di un istituto di diritto penale sostanziale che configura una causa di esclusione della punibilità, giustificata alla stregua dei principi di proporzione e di extrema ratio del ricorso alla sanzione penale, finalizzata a escludere dal circuito penale fatti che, proprio in quanto bagatellari, si palesano, in concreto, non meritevoli del ricorso alla pena. E dalla natura di istituto di diritto penale sostanziale deriva pacificamente che esso è applicabile retroattivamente, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, ai fatti che, come nel caso di quello per cui è processo, siano stati commessi anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina di favore (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266593).
Si è già osservato che il legislatore individua, al fine di determinare la particolare tenuità del fatto, tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza, da apprezzare alla stregua di una valutazione complessiva ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, che considerando tutte le peculiarità della vicenda concreta consenta di misurarne, nella sua dimensione storico-fattuale ed al di là della tipizzazione compiuta dal legislatore, l’effettivo (e complessivo) disvalore.

Ne consegue che l’applicazione del nuovo istituto non può dirsi inibita ad alcuna tipologia di reato, anche nel caso dei reati senza offesa e di quelli di mera disobbedienza ovvero dei reati in cui il legislatore ha individuato soglie, fasce di rilevanza penale o di graduazione dell’entità dell’illecito, nonché nel caso dei reati di pericolo presunto, in cui il legislatore ha ritenuto, alla stregua di una massima di comune esperienza o di regole tecniche o di leggi scientifiche, l’inidoneità della condotta a recare pregiudizio al bene giuridico oggetto di tutela. Ciò che le Sezioni Unite hanno inteso affermare con il principio di diritto secondo cui "l’art. 131 bis c.p., si applica ad ogni fattispecie criminosa, in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma" (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266589), sul presupposto che la previsione di un valore-soglia per la configurazione del reato ovvero la tipizzazione di condotte di pericolo presunto svolgano la loro funzione "sul piano della selezione categoriale", laddove la particolare tenuità del fatto richiede, invece, un "vaglio tra le epifanie nella dimensione effettuale" (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, in motivazione).

Quanto, poi, al dato relativo alla necessità che il comportamento non sia abituale, l’opinione giurisprudenziale ormai consolidata, confortata nel chiaro tenore della norma, è nel senso che la norma intenda escludere la particolare tenuità del fatto in caso di comportamenti "seriali", concretizzatisi in "più reati della stessa indole", eventualmente commessi anche successivamente a quello per cui si proceda ed in ipotesi ancora sub iudice (Sez. 5, n. 26813 del 10/2/2016, Grosoli, Rv. 267262; Sez. 2, n. 23020 del 10/5/2016, P., Rv. 267040).

3.2. Nel caso di specie, secondo quanto riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, la condotta dell’imputato doveva essere qualificata come "di lieve entità", avendo egli agito per mera negligenza e considerata l’esiguità del pericolo derivato dall’azione illecita. Se a ciò si aggiunge lo stato di incensuratezza dell’imputato, indicativo della non abitualità della condotta, deve conclusivamente ritenersi che ricorressero le condizioni per il riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p., la quale può essere conseguentemente applicata da questa Corte di legittimità. Va, infatti, ricordato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere ritenuta nel giudizio di legittimità, senza rinvio del processo alla sede di merito, in presenza di un ricorso ammissibile, anche se esclusa nel giudizio di merito, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano, come nel caso di specie, immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali (Sez. 2, n. 49446 del 3/10/2018, Zingari, Rv. 274476).

4. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, perché l’imputato non è punibile per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché l’imputato non è punibile per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.. Rigetta nel resto il ricorso.

 

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